Glossario

Le parole della violenza sessuale

Stupro e tentato stupro

Con il termine stupro si fa riferimento a un atto sessuale non consensuale completo in cui l’aggressore penetra la vagina, l’ano o la bocca della vittima con il pene, la mano, le dita o altri oggetti. Presenta una o più delle seguenti caratteristiche:

  • manca il consenso di una delle persone che partecipa all’atto sessuale;
  • il consenso viene ottenuto con l’utilizzo della forza fisica, della coercizione, di inganni o minacce;
  • la vittima è incapace di intendere;
  • la vittima non è completamente cosciente (per uso volontario o involontario di alcool e/o droghe);
  • la vittima è addormentata o incosciente.

Uno degli elementi più critici riguardo allo stupro è il consenso. Infatti, se l’accordo di una delle due parti è forzato, coercizzato o ottenuto sotto pressione non può considerarsi consenso poiché non è stato dato liberamente. Nel tentato stupro l’aggressore tenta, ma non completa, l’atto sessuale non consensuale. La violenza che sfocia in un tentato stupro può avere sulle vittime lo stesso impatto di uno stupro con penetrazione completa.

Abuso sessuale

Per abuso sessuale si intende ogni tipo di contatto sessuale non consensuale. Le vittime possono essere donne o uomini di ogni età. L’abuso sessuale da parte del partner o di una persona intima può includere l’uso di parole dispregiative, il rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi, causare deliberatamente dolore fisico al partner durante i rapporti sessuali, contagiare deliberatamente il partner con malattie infettive o infezioni di tipo sessuale oppure utilizzare oggetti, giochi o altre cose che causano dolore o umiliazione senza il consenso del partner. In questa categoria rientrano gli atti sessuali con un bambino, compiuti da un adulto o da un bambino più grande. È un crimine sessuale che, per essere attuato, è connotato necessariamente anche da un abuso di fiducia, potere e autorità del carnefice nei confronti del minore, che determina gravi problemi a breve e lungo termine su di esso (National Sexual Violence Resource Center, 2013). Alcuni comportamenti tipici dell’abuso su minori comprendono:

  • toccamenti a sfondo sessuale di qualsiasi parte del corpo, sia essa coperta da vestiti o nuda;
  • rapporti con penetrazione, inclusa la bocca;
  • incoraggiare un bambino a intraprendere attività sessuali, inclusa la masturbazione;
  • avere rapporti sessuali davanti a un bambino, essendo consapevoli della sua presenza;
  • mostrare materiale pornografico a minori o utilizzare bambini per produrre questo materiale;
  • incoraggiare un minore a prostituirsi;
  • coinvolgere il bambino in attività sessuali anche in mancanza di contatto, ad esempio online, tramite chat e/o webcam.
Violenza Sessuale

Si definisce violenza sessuale qualsiasi attività sessuale con una persona che non voglia o sia impossibilitata a consentire all’atto sessuale a causa di alcool, droga o altre situazioni. Violenza sessuale è un termine molto generico che include diversi comportamenti come:

  • lo stupro, anche se l’autore è il partner o il marito (vedi stupro);
  • qualsiasi contatto sessuale indesiderato (vedi abuso);
  • l’esposizione non gradita di un corpo nudo, l’esibizionismo e il voyeurismo (in realtà altrove viene definita molestia);
  • l’abuso sessuale di un minore (vedi abuso);
  • l’incesto vedi abuso);
  • la molestia sessuale;
  • atti sessuali su clienti o dipendenti perpetrati da terapeuti, medici, dentisti, capi, colleghi o altre figure professionali.

La violenza sessuale è un atto di potere e non sempre vengono utilizzate la forza fisica o le minacce contro la vittima, perché la violenza può essere molto sottile (come nel caso in cui l’autore dell’atto utilizzi la propria età, fisicità o status sociale per spaventare o manipolare la vittima).

Molestia Sessuale

Si definisce molestia sessuale ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di discriminazione basata sul sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne nell’ambiente di studio e di lavoro, ivi inclusi atteggiamenti di tipo fisico, verbale o non verbale.
Le molestie sessuali, in quanto discriminazioni fondate sul sesso, violano il principio della parità di trattamento fra uomini e donne.
Sono esempi di molestia sessuale:

  • richieste implicite o esplicite di prestazioni sessuali offensive o non gradite;
  • affissione o esposizione di materiale pornografico nell’ambiente dell’Università, anche sotto forma elettronica;
  • adozione di criteri sessisti in qualunque tipo di relazione interpersonale;
  • promesse, implicite o esplicite, di agevolazioni e privilegi oppure di avanzamenti di carriera in cambio di prestazioni sessuali;
  • minacce o ritorsioni in seguito al rifiuto di prestazioni sessuali;
  • contatti fisici indesiderati e inopportuni;
  • apprezzamenti verbali sul corpo oppure commenti su sessualità o orientamento sessuale ritenuti offensivi.

Le parole della violenza sessuale online

Cyberstalking

In Italia, lo stalking tra adolescenti ha cominciato a fare notizia nel 2011, quando l’Osservatorio Nazionale Stalking ha realizzato un sondaggio coinvolgendo circa 400 teenager (età media 16 anni), dal quale è emerso che un adolescente su dieci ne era vittima. Il tasso del 10%, a distanza di 8 anni dal sondaggio ONS, è salito e resta indicativo considerando che molti ragazzi non si confidano, non si lasciano aiutare dagli adulti e dalle autorità, non denunciano. 

Si tratta di un fenomeno preoccupante, in crescita anche tra i banchi di scuola, seppure i ragazzi (un buon 65%) siano sufficientemente informati sui rischi e sul reato di atti persecutori. Il punto è che soltanto il 25% denuncia, mentre il 45% tende a cercare aiuto presso un centro specializzato. Chi non denuncia lo fa per svariati motivi: paura delle conseguenze in famiglia, vergogna, sfiducia nelle autorità.

Il fenomeno del Cyberstalking, cioè la versione online del reato di stalking, non è meno preoccupante del reato di stalking compiuto nella vita reale: secondo il Rapporto Italia 2017 di Eurispes, 8 italiani su 10 (precisamente, l’83,3% degli intervistati) hanno subito almeno una molestia online o tramite smartphone: per i più giovani, la percentuale sale al 91,2% (25-34 anni) ed all’87,5% (18-24 anni).

Il cyberstalker approfitta dell’effetto “cassa di risonanza” offerto dal web, per tormentare e denigrare la vittima. La finalità è quella di indurre uno stato di costante ansia e paura nell’altro. Le offese, minacce, insulti, ricatti, etc., possono minare seriamente il benessere psicologico della vittima, anche qualora il cyber stalker esista "solo" nella realtà virtuale. Le ripercussioni sono però reali.

I fattori di rischio che possono portare un adolescente a diventare uno stalker sono:

  • Situazioni di predominio e violenza vissute in ambito familiare;
  • Modelli paterni e materni estremamente fragili e devianti;
  • Accettazione di stereotipi di genere (donne fragili, uomini forti);
  • Tendenza a cercare la realizzazione affettiva esclusivamente nel rapporto di coppia.

Le giovani vittime di stalking e comportamenti violenti o minacciosi all’interno della coppia possono rischiare effetti negativi a breve e lungo termine come:

  • Conseguente sviluppo di comportamenti violenti;
  • Abuso di sostanze stupefacenti o alcol;
  • Timore di rapporti stabili e duraturi;
  • Ansia e depressione;
  • Mancanza di autostima;
  • Manifestazioni di rabbia e collera;
  • Disturbi del comportamento alimentare;
  • Attacchi di panico;
  • Tentativi di suicidio.

Fonti:

https://www.stopstalkingitalia.it/stalking/stalking-tra-adolescenti-analisi-sul-giovane-narciso-dati-in-italia/

https://www.stopstalkingitalia.it/stalking/cyberstalking-come-tutelarsi-dalle-insidie-social-e-dalle-app-spia/

Child Grooming

Si sente sempre più parlare di “grooming” o, più precisamente, di “child grooming”, termine con il quale si fa riferimento all’adescamento online di soggetti minorenni ad opera di un adulto o di un altro minorenne. Il termine grooming deriva dall’anglofona forma verbale “to groom”, ossia prendersi cura di una persona, allenarla e prepararla fisicamente e psicologicamente, ad uno scopo predeterminato.

La prima studiosa ad utilizzare questa terminologia in ambito scientifico è stata la Dr.ssa Anna Salter che ha fatto riferimento a quelle condotte di manipolazione psicologica adottate per selezionare, coinvolgere e mantenere in una situazione di abuso e di sfruttamento vittime minori di età. Un concetto che, alla luce della sua evoluzione e contaminazione criminologica, viene utilizzato per descrivere anche quella condotta sanzionata dall’ordinamento giuridico con la quale un individuo manipola soggetti minorenni per scopi illeciti consistenti, nella maggioranza dei casi, in abusi sessuali. Il grooming viene definito dalla Dr.ssa Salter come una seduzione emozionale, una tattica escogitata dal predatore al fine di accalappiare il minore per soddisfare i propri impulsi sessuali e, talvolta, intrappolarlo anche con la minaccia affinché si costituisca un rapporto non occasionale ma di lunga durata.L’adescamento online è un processo ciclico che si compone di cinque fasi ben scandite dal predatore:

  1. Friendship Forming Stage (FFS)

Si tratta della fase dell’approccio. Il groomer, adeguatamente celato dietro un nickname scelto ad hoc per attirare l’attenzione della propria vittima precedentemente osservata, instaura un contatto e molto spesso chiede l’invio di una fotografia o l’attivazione di webcam per riscontrare l’età della preda e, nell’ipotesi che risieda nelle vicinanze, poterlo anche riconoscere, ma anche per evitare false sorprese quali i bot installati dalla polizia giudiziaria. 

Questa prima fase diviene la più importante per il groomer perché in un ambito dinamico e multimediale come una chat room o un forum ogni user entra in contatto con una molteplicità di utenti e pertanto la sua attenzione è molto volatile ed instabile, occorre ottenere fin da subito la sua attenzione. 

  1. Relationship Forming Stage (RFS)

Si tratta della seconda fase in cui il groomer, dopo aver “rotto il ghiaccio” con la vittima, cerca di sfondare il muro della diffidenza e dell’imbarazzo creando un legame che la porterà a ricontattarlo anche successivamente. Il predatore cerca di diventare il suo “migliore” amico discutendo con lei tematiche relative a scuola, interessi musicali, tempo libero e problematiche personali e familiari, ed offre alla vittima un luogo sicuro dove riversare le sue frustrazioni, i suoi dispiaceri, le sue paure. Attraverso questa attenzione che il cyber predatore mira a consolidare la conoscenza e a diventare il centro degli interessi affettivi e cognitivi della vittima (formazione della relazione). In questo modo il minorenne dichiara apertamente una moltitudine di informazioni personali che potranno essere riutilizzate dall’adescatore in modo subdolo per poter raggiungere il suo scopo criminale.

  1. Risk Assesstement Stage (RAS)

Nella terza fase l’adescatore sonda il terreno per portare la relazione da un contesto virtuale ad un contesto reale. Il predatore, così, cerca di ricostruire il contesto in cui vive la vittima, rileva i possibili rischi in cui incorrerebbe qualora lui le proponesse un incontro, e se anche la relazione è virtuale, è di fatto esposta a ulteriori rischi quali ad esempio quello di essere scoperta da un adulto (indagando ad esempio sulla collocazione del computer al fine di capire se i genitori possano controllare o partecipare alle sue attività virtuali). In questa terza fase l’adescatore da internet offender (colui che realizza una condotta offensiva solo sul piano virtuale) diventa un pericolo reale e concreto per la vittima, ossia un contact offender.

  1. Esclusivity Exclusivity Stage (ES)

Dopo avere accertato che non sussiste il pericolo di essere scoperto e che la giovane vittima è oramai persuasa di avere trovato un vero amico, il cyber predatore le consiglia di mantenere segreta la relazione, al fine di renderla particolare ed esclusiva (exclusivity stage): “sei una persona speciale e ti voglio veramente bene”, “mi raccomando, non raccontiamo a nessuno questo nostro amore” (fonte: www.cyberbullismo.com).

Nella quarta fase l’adescatore scava nell’intimità della vittima facendo in lei affiorare le sue fantasie e i suoi desideri. Inizia l’approccio più intimo che sfocia ben presto sul piano sessuale, volto a carpirne anche una compatibilità amorosa, mostrandosi alla vittima come l’unico in grado di soddisfarla.

  1. Sexual Stage (SS)

Si tratta dell’ultima fase, quella in cui si compie l’abuso sessuale ai danni del minorenne. Tale fase è generalmente introdotta con domande tipo “sei mai stata baciato/a?” oppure “ti sei mai toccato/a?” oppure “mi piacerebbe baciarti” che raramente vengono sentite come intrusive dalla giovane vittima proponendosi come potenziale “fidanzato/amante”, scrivendogli che forse un giorno si incontreranno per mostrargli l’amore che prova e che intanto si accontenterebbe di ricevere qualche fotografia che lo ritrae nudo quando si tocca l’area genitale. A questo proposito non raramente si dilunga nelle descrizioni delle attività sessuali che nel futuro la coppia potrebbe consumare, informandosi sulle preferenze e i gusti del minore. Ma potrebbe anche inviargli messaggi contraddittori, nei quali la coercizione “voglio che ti tocchi pensandomi” è controbilanciata dalla ricerca d’intimità “ti voglio bene, ti piacerà fare questo, non vuoi rendermi felice?” in modo da intimorirlo e allo stesso tempo eccitarlo, confondendolo” (fonte: L. Pisano, 2011).

L’abuso può consumarsi in due modalità diverse: la prima attraverso un incontro personale che può sfociare in una congiunzione carnale più o meno violenta, la seconda anche solo virtualmente con lo scambio di materiale pedopornografico o l’interazione di webcam chat in cui vengono praticati atti di autoerotismo.

Fonti:

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_5_12_1.page?contentId=GLM1144705&previsiousPage=mg_2_5_12 https://www.cyberlaws.it/2019/adescamento-minori-child-grooming/

Revenge Porn

Il revenge porn, definito anche come «pornografia non consensuale» ed anche abuso sessuale tramite immagini, è l’atto di condivisione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso, attuato sia on-line che off-line. Il fenomeno è stato individuato e studiato per la prima volta negli Stati Uniti dove, attualmente, 45 Stati (oltre DC) hanno una legislazione in merito ed altri sono in procinto di legiferare.

Per quanto riguarda le modalità di esecuzione, il contenuto pornografico viene di solito linkato sulle pagine social della vittima, oppure caricato su siti web tematici o create delle pagine apposite, spesso incoraggiando chi visualizza a condividere, scaricare e commentare.

Succede anche che il contenuto sia inviato a familiari, amici e colleghi della persona offesa al fine di accrescerne il discredito sociale e può generare ulteriori condotte illecite quali ingiurie, minacce, stalking ed estorsione sino all’omicidio, come ben noti e tristi casi di cronaca riferiscono.

Il punto di partenza del «revenge porn» è il materiale pornografico che rappresenta la vittima in situazioni private e/o intime sia da sola che con il partner che, a sua volta, può essere sia stabile che occasionale, sia incontrato di persona che online.

Da un punto di vista criminologico ci troviamo di fronte ad una forma avanzata di cyberbullisimo e il materiale pornografico può essere carpito in diversi modi:

  • Mediante il cosiddetto «sexting» ovvero l’auto ripresa di immagini o video in pose intime da parte della vittima e successivamente inviate a terzi, anche mediante web cam;
  • Mediante la ripresa delle immagini intime durante un rapporto sessuale con il consenso della vittima;
  • Mediante la ripresa della vittima durante momenti intimi (rapporto sessuale, bagni pubblici, spogliatoi ecc..) con telecamere nascoste (spy cam);
  • Attraverso l’hacking dello spazio cloud della vittima (icloud, gmail, microsoft space ecc.) ovvero del dispositivo (smartphone, laptop, smartpad) anche con la consegna spontanea del dispositivo (es. invio di un pc o di un telefono in assistenza).

I casi discussi in occasione dei focus group realizzati all’interno del progetto Violenza zero! sembrano confermare l’incremento di tale fenomeno, nonché la dimensione relazionale entro cui il reato si va a configurare: dal caso relativo a un quindicenne che ha diffuso i selfie espliciti inviatigli da un’amica prima con i propri amici e poi con la famiglia della vittima, a quello di un giovane che per motivi di gelosia aveva inviato immagini di nudo della propria fidanzata al padre, minacciandola di diffonderle anche con i propri amici.

Secondo la Polizia delle Comunicazioni, in Italia il fenomeno sta raggiungendo picchi preoccupanti. Ci sono due episodi di revenge porn al giorno, secondo un dossier di novembre del Servizio analisi della Direzione centrale della Polizia criminale. A novembre 2020, 1083 le indagini in corso.

Uno studio del 2018 dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza in collaborazione col portale skuola.net ha rilevato che il 6% dei giovanissimi fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica, con una prevalenza (2 su 3) di ragazzine. Aumentando l’età (14-19 anni) aumenta la percentuale (19%) di chi invia, anche al solo partner, materiale intimo.

Un altro sondaggio del 2017 riferisce che per molti adolescenti (soprattutto maschi) appare normale filmarsi durante un rapporto sessuale e condividerlo con gli amici.

Il problema è sicuramente culturale, ossia i giovanissimi non hanno la percezione della gravità delle azioni descritte poiché il materiale potrà sempre essere reso pubblico danneggiando la sfera affettiva e psicologica di una persona anche a distanza di anni. È qui che entra in gioco una anticipazione della tutela fondata su di un concetto semplice, ma efficace: se non ti riprendi o se rifiuti di farti riprendere non esiste materiale che ti riguarda, quindi nessuno potrà mai ricattarti o rovinare la tua reputazione. Certo rimane la possibilità che le immagini vengano trafugate o carpite illegalmente, tuttavia nella maggior parte dei casi la porno vendetta si attua con l’inconsapevole collaborazione della vittima.

Revenge porn su Telegram

Grave la situazione su canali e gruppi Telegram. Si è passati ai 17 gruppi o canali e 1,147 milioni di utenti di febbraio – dedicati allo scambio di porno non consensuale, qui incluso anche il revenge porn, ai 29 e 2,223 milioni di maggio. Fino agli 89 gruppi o canali e 6 milioni di utenti a novembre 2020, stima l’osservatorio PermessoNegato.it.

Telegram, riporta l’osservatorio, non risponde alle sue segnalazioni né a quelle della Polizia Postale; ergo non chiude i canali segnalati, né dà alle forze dell’ordine i dati per perseguire gli admin e chi condivide materiale illecito.

Fonte:

https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/revenge-porn-prime-impressioni-e-problematiche-interpretative/ https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/revenge-porn-e-sexting-tra-minori-tutti-i-problemi-che-la-legge-non-risolve/

Sexting

Il termine sexting deriva dall’inglese ed è composto da due parole, “sex” e “texting” (cioè “sesso” e “messaggiare”). Con queste parole si intende generalmente lo scambio messaggi, audio, immagini o video - specialmente attraverso smartphone o chat di social network - a sfondo sessuale o sessualmente espliciti, comprese immagini di nudi o seminudi. Questo fenomeno si è molto diffuso negli ultimi anni, anche tra i minori.

Il sexting è un fenomeno comune anche tra gli adolescenti e rientra pienamente nel processo di costruzione e scoperta della propria identità, tipico di questo periodo. Insomma, non è niente di nuovo, ma i mezzi attraverso cui si esprimono sono cambiati e si sono evoluti nel tempo. 

Il sexting nei minori può essere vissuto quindi come una dimostrazione di amore e fiducia nei confronti del proprio partner, come un divertimento o come un modo per sentirsi grandi sia agli occhi degli altri sia di fronte a sé stessi.

Questo perché, rispetto ad altri contesti, attraverso le tecnologie gli adolescenti si sentono più liberi di sperimentare e resta più semplice mettersi in gioco anche con meno pudore. 

È importante essere consapevoli delle conseguenze che il sexting può avere. Le immagini di nudo o sessualizzate non sono contenuti neutri, per questo è importante parlare delle possibili conseguenze legate a produzione, invio e condivisione di immagini di nudo.

Vediamo quali possono essere alcune delle principali conseguenze del sexting:

Le conseguenze del web.Quando si perde il controllo delle immagini prodotte, la loro diffusione su web e social network è difficilmente gestibile. È bene precisare che in questo caso non si parla più di sexting ma di “revenge porn” (quando le immagini vengono ad esempio utilizzate da un/a ex partner a scopi vendicativi e con l’obiettivo di ledere la reputazione della persona ritratta), o di “sextortion” e cyberbullismo (cioè la minaccia di diffusione del materiale foto/video, sempre con l’obiettivo di ledere la reputazione della persona ritratta).

Conseguenze legali.

Anche quando non c’è intenzione di danneggiare l’altra persona né di commettere un abuso online (come nei casi del revenge porn o della sextortion), non è escluso che i comportamenti tipici del sexting possano configurare reati connessi con la pedopornografia. Secondo il nostro ordinamento il materiale scambiato in forma di sexting si declina come pedopornografico, quando se ne perde il controllo, anche ingenuamente. Secondo il recente parere emesso del Comitato di Lanzarote del Consiglio d’Europa (l’organismo che monitora l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali), il “sexting” tra minori non costituisce una condotta connessa alla “pedopornografia”, se destinato esclusivamente all’uso privato dei minori. Il parere specifica però che i minori costretti a tale condotta dovrebbero essere affidati ai servizi di assistenza alle vittime e non essere perseguiti penalmente.

Conseguenze emotive.

Queste riguardano l’affettività e in particolare il tema del consenso. La pressione dei pari (“lo fanno tutti o tutte”), ricatti o minacce (“se non lo fai, non mi ami”), problemi di autostima o il sentirsi in dovere nei confronti del proprio partner al fine di evitare il senso di colpa, possono essere tutti elementi che portano un ragazzo o una ragazza a cedere a comportamenti che non rispettano i suoi tempi o desideri. Per questo motivo, è importante che il ragazzo o la ragazza sia equipaggiato/a con strumenti che gli/le consentano di leggere criticamente quello che vede o sperimenta, anche quando si tratta della sua sessualità, per poter, ad esempio, definire i propri confini e riconoscere quando una richiesta esterna li supera. I ragazzi e le ragazze hanno il diritto di vivere la sessualità secondo tempi e modi adatti alla loro maturità e questo può avvenire solo se possono contare su conoscenze e competenze specifiche, in grado di orientarli e guidarli nelle loro scelte anche online. L’educazione alla sessualità all’affettività è fondamentale, per prevenire forme di abuso e per permettere ai minori di effettuare scelte che migliorino la qualità della loro vita.

Fonte:

https://www.savethechildren.it/blog-notizie/il-sexting-e-gli-adolescenti-cos-e-perche-e-diffuso

Sextortion

L’estorsione sessuale è un fenomeno che coinvolge sia adulti che minori e che, soprattutto in riferimento a questi ultimi, ha assunto dimensioni esorbitanti. Un recentissimo studio (Patchin, J. W., & Hinduja, S. 2020) ha concluso che il 5% degli studenti americani tra i 12 e i 17 anni è stato vittima di tale genere di comportamenti, mentre il 3% ha ammesso di aver minacciato chi aveva condiviso con loro immagini confidenziali.

Nonostante si tratti di un fenomeno certamente grave e in rapida crescita (almeno 1000 casi l’anno in Italia), lo stesso risulta spesso sconosciuto, sottovalutato oppure confuso con quello, simile solo in parte, del revenge porn. Occorre, pertanto, in primo luogo, fare chiarezza circa l’utilizzo della corretta terminologia.

L’espressione estorsione sessuale o sextortion (dalla crasi delle parole “sex” ed “extortion”), raggruppa una serie di condotte estorsive, perpetrate attraverso la rete, caratterizzate dalla minaccia di diffondere immagini o video sessualmente espliciti che ritraggono la vittima, al fine di ottenere qualcosa da quest’ultima. La sextortion e il revenge porn sono accomunati dall’essere entrambi espressione del più ampio fenomeno della pornografia non consensuale (non consensual pornography – NCP), consistente nella divulgazione di immagini con contenuti sessuali e video pornografici (a prescindere da come questi siano stati acquisiti) senza il consenso del soggetto coinvolto. La particolarità della sextortion, però, risiede nel fatto che la pubblicazione dei contenuti sessuali e pornografici non è unicamente diretta ad umiliare ed offendere la vittima, ma strettamente collegata alla coartazione della volontà di quest’ultima, al fine di estorcerle, nella maggior parte dei casi, denaro o ulteriore materiale pornografico autoprodotto.

Sebbene siano tutte accomunate dall’utilizzo di strumenti digitali, diverse sono le modalità impiegate per ottenere il materiale con cui ricattare la vittima, facendo leva sulla paura e sulle sue vulnerabilità. In primo luogo, vi sono le immagini inviate consensualmente dal soggetto prescelto, il quale viene adescato sui social network, sulle chat online o sui siti di incontri. Sempre di invio consensuale si tratta nel caso di utilizzo di immagini e video ottenuti nel corso di una relazione sentimentale, affettiva o di qualunque genere. Tale modalità si differenzia dalla precedente in ragion del fatto che l’estorsore sfrutta il preesistente rapporto con la vittima, dando così maggior concretezza alla minaccia. Vi sono, infine, i contenuti ottenuti “hackerando” i computer delle vittime: in alcuni casi si accede alla memoria del dispositivo al fine di prelevare il materiale compromettente, in altri, invece, si acquisisce il controllo della telecamera e del microfono nell’intento di carpire immagini e video del soggetto intento in atteggiamenti intimi. Mentre tale ultima modalità è strettamente legata all’utilizzo di competenze informatiche che permettano di appropriarsi del materiale senza che sia necessaria la collaborazione della vittima – così che quest’ultima viene a conoscenza di quanto in possesso dell’estorsore solo una volta esplicitata la minaccia – le prime due sono inscindibilmente connesse al fenomeno del sexting. Si tratta, all’evidenza, di un comportamento prodromico al successivo ricatto.

Sebbene sia intuitivamente percepibile il recente e repentino incremento del fenomeno della sextortion a causa del suo stretto collegamento con il mutamento delle relazioni da una dimensione puramente analogica ad una prevalentemente digitale, fornire dati certi in materia risulta molto complesso per tre ordini di ragioni: in primo luogo, non esistono report provenienti da fonti istituzionali sulla materia in grado di produrre dati ufficiali e generalizzati; inoltre, lo studio statistico risente fortemente della confusione terminologica di cui sopra si è parlato (le ricerche, in effetti, prendono in esame diversi comportamenti a seconda dell’ampiezza del significato che si intende dare al termine sextortion); infine, i dati relativi alle condotte denunciate non rappresentano che la punta dell’iceberg. Il fenomeno, infatti, in ragione delle sue intrinseche modalità che fanno leva sul senso di vergogna e di umiliazione delle vittime, rimane per la maggior parte sommerso.

Gli Strumenti Di Contrasto

Per ciò che riguarda il profilo strettamente giuridico, nel nostro ordinamento non esiste un vero e proprio reato di estorsione sessuale e la normativa potenzialmente applicabile non risulta adeguata a fronteggiare il fenomeno. Sebbene nel 2019 sia stata introdotta con il c.d. Codice Rosso la nuova fattispecie di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, di cui all’art 612-ter c.p., risulta evidente che la stessa sia pensata e costruita in relazione al fenomeno del revenge porn che, come si è già detto, è affine ma non sovrapponibile a quello in esame. Non è previsto, infatti, l’elemento della coartazione della volontà della vittima, tipico dell’estorsione. Tuttavia, neanche la fattispecie di estorsione di cui all’art. 629 c.p. risulta formulata in modo tale da ricomprendere tutte le condotte annoverabili nel fenomeno della sextortion. Quest’ultima, infatti, incrimina il comportamento di chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La giurisprudenza, però, è ormai unanime nel sostenere che il danno procurato dall’estorsore deve avere carattere patrimoniale, sicché il reato in esame non si configura nel caso in cui quest’ultimo richieda alla vittima l’invio di ulteriore materiale pornografico per appagare il proprio istinto sessuale. In talune ipotesi, invece, è stato ritenuto applicabile il delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p. in quanto, pur in mancanza di contatto fisico tra autore e vittima, la condotta tenuta denota l’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e l’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale.

Da tale breve accenno al panorama giuridico italiano emerge, dunque, l’assenza di una disciplina unitaria che sia idonea a circoscrivere le condotte penalmente rilevanti e ad assicurare una tutela effettiva ed omogenea a coloro i quali hanno subìto tale fenomeno. Appare evidente come il primo passo da muovere sia sul fronte della ricerca. Una profonda comprensione del fenomeno è, infatti, necessaria per l’introduzione di fattispecie idonee a contrastarlo in maniera efficace. A ben vedere, in effetti, quella in esame costituisce un’evoluzione delle già conosciute forme di abuso sessuale, dalle quali si differenzia, in primo luogo, sotto il profilo dell’autore del reato. Quest’ultimo si caratterizza per essere particolarmente disinibito, spesso forte dell’anonimato consentito dalla rete e, dunque, della consapevolezza di poter essere difficilmente identificato. La distanza causata dal mezzo impiegato e la conseguente assenza di contatto fisico tendono a sfumare la percezione di erroneità della propria azione, riducendo il timore di una sanzione sociale e giuridica. La sextortion, inoltre, così come gli altri cybercrimes, presenta la connaturata potenzialità di oltrepassare qualsivoglia confine fisico, anche statuale, sicché non si rende più necessaria la compresenza dei soggetti coinvolti. Al contrario, la vittima può veder lesa la propria intimità anche nel luogo ove si sente più protetta. L’illusoria sensazione di sicurezza percepita tra le mura della propria casa, infatti, la espone ancora di più a contatti pericolosi con soggetti abili a sfruttarne la vulnerabilità. 

Nell’immediato risultano sicuramente molto utili le indicazioni fornite dalle Forze dell’ordine che, tanto in Italia quanto in altri Paesi, consigliano di bloccare i profili degli estorsori e denunciare immediatamente i fatti, senza temere di essere giudicati. Agire rapidamente, infatti, può essere vitale per fermare subito una possibile diffusione del materiale oggetto dell’estorsione. Nonostante ciò, in molti casi, la paura e il senso di umiliazione sono talmente forti da spingere la vittima, terrorizzata all’idea di vedere esposto in pubblico il suo lato più intimo, a cedere al ricatto. Parte del problema, infatti, è proprio la generale tendenza ad incolpare la vittima (c.d. victim blaming), che contribuisce a rendere maggiormente efficace il meccanismo estorsivo.

Un approfondito studio delle diverse modalità e degli effetti delle condotte di estorsione sessuale consentirebbe, inoltre e soprattutto, una prevenzione efficace. In tale prospettiva, sarebbe necessario sensibilizzare sempre di più i minori sui pericoli connessi alla produzione e all’invio di proprie foto e video intimi in rete. Allo stesso tempo, la società e le istituzioni dovrebbero impegnarsi attivamente nella condanna del victim blaming e promuovere azioni di sostegno concreto in favore delle vittime, affinché non si sentano isolate e costrette a ricorrere a gesti estremi.

Fonte:

https://www.devita.law/sextortion-piu-in-rete-piu-nella-rete-laumento-esponenziale-delle-vittime/

REATI SESSUALI

  • Violenza sessuale (art.609 bis c.p.)
  • Atti sessuali con minorenne (art.609 quater c.p.)
  • Corruzione di minorenne (art.609 quinquies c.p.)
  • Violenza sessuale di gruppo (art.609 octies c.p.)

 

ALTRI REATI A SFONDO SESSUALE

 

REATI DI TRATTA

 

Il Codice Rosso

La legge Codice rosso mira a garantire maggiore tutela alle vittime di violenza domestica e di genere. Tutte le novità e il testo del Codice Rosso La legge n. 69/2019, nota come “Codice Rosso” è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 173/2019 ed è entrata in vigore il 9 agosto 2019 (v. Codice Rosso in Gazzetta, in vigore dal 9 agosto). Si tratta di un provvedimento volto a rafforzare la tutela delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere, inasprendone la repressione tramite interventi sul codice penale e sul codice di procedura penale.

Il testo si compone di 21 articoli, che individuano un catalogo di reati attraverso i quali si esercita la violenza domestica e di genere. In relazione a tali fattispecie emergono modifiche al codice di rito atte a velocizzare l’instaurazione del procedimento penale e, conseguentemente, all’accelerazione dell’eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime.

Il provvedimento, inoltre, incide sul codice penale per inasprire le pene per alcuni dei citati delitti, per rimodulare alcune aggravanti e per introdurre nuove fattispecie di reato. In particolare, il provvedimento è intervenuto sulle seguenti misure:

  • Revenge porn. Viene introdotto all’art. 612-ter c.p., dopo il delitto di stalking, quello di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, noto come Revenge porn. Si punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000, la condotta di chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati. La pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell’ambito di una relazione affettiva, anche cessata, o con l’impiego di strumenti informatici, nonché in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o di una donna in stato di gravidanza.
  • Reato di costrizione o induzione al matrimonio. Ancora, viene introdotto nel codice penale, all’art. 558-bis c.p., il delitto di costrizione o induzione al matrimonio. Si punisce con la reclusione da uno a cinque anni, chiunque con violenza o minaccia costringe una persona a contrarre vincolo di natura personale o una unione civile. Stessa pena anche nei confronti di chi, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. La fattispecie è aggravata quando il reato è commesso in danno di minori e si procede anche quando il fatto è commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia.
  • Violazione allontanamento dalla casa familiare. All’art. 387-bis c.p. si introduce il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Il nuovo reato punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.) o l’ordine di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384-bis c.p.p.).
  • Reato di sfregio. Il nuovo delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, introdotto all’art. 583-quinquies c.p.), punito con la reclusione da 8 a 14 anni. Quando dalla commissione di tale delitto consegua l’omicidio si prevede la pena dell’ergastolo. La riforma inserisce inoltre questo nuovo delitto nel catalogo dei reati intenzionali violenti che danno diritto all’indennizzo da parte dello Stato.
  • Maltrattamenti e stalking. Con ulteriori interventi sul codice penale, la legge n. 69/2919 interviene sul delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) inasprendo la pena che diventa quella della reclusione da 3 a 7 anni (non più da 2 a 6 anni). Inoltre, si prevede una fattispecie aggravata speciale (pena aumentata fino alla metà) quando il delitto è commesso in presenza o in danno di minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi. Il minore che assiste ai maltrattamenti viene, inoltre, sempre considerato persona offesa dal reato. Inoltre, il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi è inserito nell’elenco dei delitti che consentono nei confronti degli indiziati l’applicazione di misure di prevenzione, tra le quali quella del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona da proteggere. Pene inasprite anche per il reato di atti persecutori (stalking) di cui all’art. 612-bis del codice penale: la pena è stata sostituita con quella della reclusione da un anno a 6 anni e 6 mesi (anziché da 6 mesi a 5 anni).
  • Violenza sessuale. Inasprite le pene per i delitti di violenza sessuale (artt. da 609-bis a 609-octies c.p.). In particolare, il provvedimento modifica l’art. 609-bis c.p. (Violenza sessuale) per punire con la reclusione da 6 a 12 anni chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Il provvedimento, inoltre, rimodula e inasprisce le aggravanti quando la violenza sessuale è commessa in danno di minore. Quanto al delitto di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.) si prevede l’aumento della pena fino a un terzo quando gli atti siano commessi con minori di anni 14 in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi. Tale delitto diviene inoltre procedibile d’ufficio.
  • Violenza donne: come cambia la procedura. A fronte di notizie di reato relative a delitti di violenza domestica e di genere, si prevede che la P.G., acquisita la notizia, riferisca immediatamente al pubblico ministero, anche in forma orale. Alla comunicazione orale seguirà senza ritardo quella scritta. Il pubblico ministero, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, assumerà informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Tale termine potrà essere prorogato solo in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa. La polizia giudiziaria procederà senza ritardo al compimento degli atti di indagine delegati dal PM e, sempre senza ritardo, metterà a disposizione del PM la documentazione delle attività svolte.
  • Braccialetto elettronico. Tra le novità procedurali emerge la modifica della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, per consentire al giudice di garantire il il rispetto della misura coercitiva attraverso procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (c.d. braccialetto elettronico).

Fonte: Codice Rosso: cosa prevede la legge https://www.studiocataldi.it/articoli/32721-codice-rosso.asp#ixzz6hMgJ4RF0

(www.StudioCataldi.it)

 

Chi l’ha istituita e perché

Il nome originale della Convenzione di Istanbul è “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”. Dal momento che si tratta di una denominazione eccessivamente lunga, in genere si usa fare riferimento alla Convenzione di Istanbul, dal nome della città in cui l’11 maggio 2011 furono raccolte le prime firme degli stati aderenti.

Fin dagli anni 90, il Consiglio aveva già avviato diverse iniziative per promuovere la protezione delle donne contro la violenza domestica. Ma nel corso degli anni e di diverse campagne è diventato sempre più chiaro che c’era bisogno di una serie di standard legali per garantire che le vittime potessero beneficiare ovunque dello stesso livello di protezione.

Nel 2008, il Comitato dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa ha istituito un gruppo di esperti incaricato di elaborare una convenzione che stabilisse gli standard per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica.

La bozza finale fu terminata due anni dopo, nel 2010. Prima di allora, diversi Paesi avevano cercato di ammorbidirne la terminologia e di eliminare alcuni paragrafi, con grande sgomento di organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International.

L’11 maggio 2011 la convenzione è stata aperta alle firme a Istanbul, in Turchia. Ad oggi, 12 Paesi hanno firmato la convenzione senza ratificarla, e 34 Paesi che l’hanno firmata, ratificata e fatta rispettare. L’entrata in vigore risale al 1° agosto 2014. La Turchia è stato il primo Paese a ratificare la Convenzione il 12 marzo 2012. Seguono altri 33 Paesi. Nel 2017, anche l’Ue ha finalmente firmato. Diversi Paesi hanno firmato la convenzione ma non l’hanno mai ratificata, il che significa che non è mai stata applicata. Tra questi Paesi vi sono Armenia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Repubblica Moldova, Ucraina e Regno Unito. Altri ancora si sono rifiutati di firmarla, come Russia e Azerbaigian.

 

Cosa dice la Convenzione

La Convenzione di Istanbul è la prima serie di linee guida giuridicamente vincolanti che crea “un quadro giuridico e un approccio globale per combattere la violenza contro le donne” ed è incentrata sulla prevenzione della violenza domestica, sulla protezione delle vittime e sul perseguimento dei colpevoli. Essa afferma inoltre che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione.

La Convenzione indica quali atti devono essere perseguiti penalmente dai Paesi partecipanti. Tali reati comprendono la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, la violenza sessuale (compreso lo stupro), tutti gli atti non consensuali di natura sessuale con una persona, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, i delitti d’onore e le molestie sessuali.

Un gruppo indipendente di esperti denominato GREVIO (cioè Gruppo di esperti per la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica) è stato incaricato di monitorare l’attuazione della convenzione.

Ci sono stati alcuni punti controversi, che hanno suscitato critiche da parte di potenziali e attuali firmatari. Uno dei principali punti critici è che la Convenzione definisce il termine “genere” come “i ruoli, i comportamenti, le attività e gli attributi socialmente costruiti che una data società considera appropriati per le donne e gli uomini”. Alcuni paesi ritengono che questa definizione sia troppo ampia e temono che possa essere interpretata in modo da far posto alla tolleranza di un terzo genere. Tuttavia, secondo la Convenzione, genere e sesso sono due concetti distinti e la definizione non intende sostituire i termini “donne” e “uomini”.

Non vi è alcuna menzione esplicita dei termini “intersessuale” e “transgender” all’interno della Convenzione di Istanbul. Le parti sono tuttavia tenute ad evitare qualsiasi discriminazione basata sul sesso o sull’identità sessuale di una persona, nonché sulla sua razza o su colore della pelle, lingua, religione, opinioni politiche o di altro tipo, origine nazionale o sociale, associazione con una minoranza nazionale, proprietà, nascita, età, stato di salute, disabilità, stato civile, status di immigrato o rifugiato.

Un altro aspetto che alcuni paesi esitano ad ottemperare è che la Convenzione di Istanbul richiede alle parti di includere materiale didattico sui ruoli di genere non stereotipati. Questo è talvolta considerato come un tentativo di imporre uno stile di vita liberale e occidentale nelle società più tradizionali e conservatrici – così come esse stesse si percepiscono.

Secondo l’Assemblea parlamentare del Consiglio europeo (PACE), la Convenzione di Istanbul ha già avuto un impatto tangibile, poiché in diversi paesi sono stati introdotti standard legislativi e politici più elevati nel diritto nazionale e ha sensibilizzato le vittime e la società in generale.

Secondo un rapporto, in paesi come il Montenegro, la Convenzione ha avuto un effetto positivo sulla legislazione che tutela le donne, Tuttavia, secondo il rapporto dell’OSCE (Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani), c’è un margine di miglioramento.

PACE ha anche sottolineato come la Convenzione di Istanbul abbia contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza domestica e a educare le vittime. Ha anche stimolato il dibattito sulla questione, secondo diversi parlamentari europei.

Fonte:

https://it.euronews.com/2020/07/28/cos-e-la-convenzione-di-istanbul-sulla-violenza-domestica-e-quale-impatto-ha-avuto

Testo integrale: 

https://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=13A0578900000010110002&dgu=2013-07-02&art.dataPubblicazioneGazzetta=2013-07-02&art.codiceRedazionale=13A05789&art.num=1&art.tiposerie=SG